IL MOSTRO racconto inedito di Francesco Merlino
Racconto vincitore della borsa di studio per il Corso Fondamentale di Narrazione con Giulio Mozzi a Perugia (2019)
Un vecchio, un giorno al bar, mi ha detto: bisognerebbe accorgersi per tempo, se solo si potesse. Ma accorgersi non è qualcosa che si decide. È un caso, una fortuna. E tutta la vita cambia.
Prima: ti svegliavi al mattino, ti lavavi la faccia, ti vestivi, sfogliavi un libro o un giornale, mangiavi, passeggiavi, sudavi, facevi l’amore con Gloria, mangiavi, andavi al bar, guardavi il soffitto, ti addormentavi.
Ora è mattino, ti lavi la faccia, ti vesti, sfogli un libro, o un giornale, mangi, passeggi, sudi, fai l’amore, con Gloria, mangi, vai al bar, guardi aldilà del soffitto.
Gloria è in cucina, prepara l’insalata di fragole. Io aspetto di là, vuole che nessuno le stia tra i piedi mentre cucina. Io nemmeno. Io, che le colgo le fragole tra i rovi dei campi e gliele porto nascoste in uno strofinaccio pulito.
Bisogna scendere a compromessi, si diceva al bar. È questo che si fa in una relazione, non c’è via di scampo: si scende a compromessi. Io non voglio una relazione, dico, io voglio amare. E tutti giù a ridere.
Dico: Gloria, perché non ti fermi un momento?
Mi dice: perché poi devo fare la spesa, rifare le camere, pulire il bagno.
Un momento, le dico.
Non risponde.
Cosparge le fragole di zucchero. Si lega di nuovo i capelli.
Alla finestra c’è qualcosa di strano. Mi alzo piano dalla poltrona e mi avvicino al vetro. Scosto le tende sottili. C’è un mostro enorme, si è preso tutto lo spazio. È verde e marrone alla base, con protuberanze nervose che si estendono in alto, verso qualcosa d’immenso e di blu.
Il mostro è illuminato dal sole e il vento lo fa sussurrare.
Come? Gli chiedo. Non riesco a capire.
Il mostro sembra avanzare lentamente, alzare a poco a poco il lastricato del piazzale, abbracciare il tetto della casa, premere contro gli infissi che adesso scricchiolano e lo scricchiolio mi risuona freddo nella cassa toracica. Non lo si può fermare.
Dico: cosa vuoi da me?
Il mostro scuote i rami, impenna le foglie, comanda alle bestie di amplificare il rumore delle zampe sulla terra, delle ali nell’aria.
Gloria, Gloria corri, vieni a vedere.
Gloria lascia cadere il cucchiaio nella ciotola di vetro e il rumore è un suo grido di rabbia, lo so.
Che c’è? Dice.
Guarda. Le scosto le tende.
Cosa devo guardare?
Guarda lì.
Le indico il mostro; due occhi gialli e giganti, come quelli di un rospo più antico del tempo e ricoperto di muschio, mi fissano immobili e sento come se qualcuno stia soffiando in un lunghissimo tubo di ferro che finisce dritto alla mia nuca, equidistante dalle orecchie. Il suono entra non solo dalle orecchie ma anche attraverso la pelle e le ossa. Si espande nel corpo e lì rimane.
Il mostro mi fissa e io fisso lui; pur non vedendo l’ora di distogliere lo sguardo, non posso farne a meno. Mi confida segreti che non hanno parole.
Gloria lascia andare la tenda, torna di là mentre scuote un po’ la testa, oppure non la scuote davvero ma io me lo immagino.
Gloria, le chiedo, hai visto? Presto, chiama il vicino, quello col fucile da caccia.
Lei mescola le fragole.
Non capisco più quando scherzi, dice.
Con la bocca aperta, sbircio di nuovo oltre le tende, ma il mostro non c’è più. Fuori, adesso, c’è solo la solita terra e gli alberi e il cielo, e a giudicare dalle nuvole forse più tardi pioverà. Le fragole cresceranno di nuovo, le raccoglierò, Gloria ne farà un’insalata.
Giù al bar ognuno paga il suo. Sono le tre del mattino e parliamo dei sogni che avevamo ma non abbiamo mai avuto davvero. Per avere davvero qualcosa bisogna accorgersene, dico. E tutti a restare in silenzio.
Scendiamo in strada: fermi, le braccia lungo i fianchi. Le nostre ombre sull’asfalto ci preannunciano il futuro, l’hanno sempre fatto.
Saluto e salgo in auto. Nella mia testa, i lampioni hanno coperto le stelle e altre storie del genere. Giro a sinistra, apro una fessura nel finestrino e l’aria fresca sibila nella ferita.
Come? Le chiedo.
Mi metto a ridere da solo, a ridere davvero di gusto. Ho quasi le convulsioni e mi contorco al punto che a tratti distolgo lo sguardo dalla carreggiata.
Ma la carreggiata non distoglie mai lo sguardo da me. Mi fissa coi suoi occhi giganti, illuminati dai fari. Mi mette in guardia.
Più tardi, nel letto, dico a Gloria: ho tanta paura.
Mi dice: vedrai che ti passa.
Francesco Merlino
